E i prossimi 175 anni? La Svizzera come città
Nenad Stojanović, Professore FNS di scienza politica, Università di Ginevra; già consigliere comunale di Lugano.
Pensare la Svizzera e le città svizzere nei prossimi 175 anni vuol dire chiedersi innanzitutto che cosa è una città. Per rispondere a questa domanda è utile prendere un po’ di distanza, uscire da una visione eccessivamente svizzera, cambiare la prospettiva. Chiunque abbia vissuto un certo periodo di tempo in una delle grandi città del mondo – da Buenos Aires a Tokyo, da Parigi a Londra, da New York a Città di Messico – non può che sorridere se chiamiamo “città” un comune come Bienne o Lugano.
Provate a spostarvi da uno all’altro angolo di una di queste metropoli. Avete sostanzialmente l’opzione di rimanere incastrati nel traffico, se utilizzate il taxi o la vostra automobile, oppure di viaggiare nella metropolitana schiacciati come sardine. E in ogni caso avete bisogno di almeno una o due ore per arrivare alla vostra destinazione. In questo lasso di tempo un abitante della “città” di Berna raggiunge comodamente in treno le “città” di Friburgo (21’), Biel/Bienne (26’), Neuchâtel (34’), Basilea (56’), Zurigo (56’), Lucerna (61’), Briga (64’) o Losanna (66’). In meno di due ore arriva anche a Winterthur, Ginevra e San Gallo. Con i miglioramenti della rete ferroviaria queste distanze diventeranno ancora più brevi nei prossimi decenni.
Oggigiorno un abitante di Berna (ma un discorso analogo si può fare anche per gli abitanti delle altre città dell’Altipiano) può quindi tranquillamente recarsi dopo lavoro al KKL di Lucerna, in un teatro di Zurigo o allo stadio di Losanna e rientrare a casa in tarda serata. Oppure può andare a fare una passeggiata nel parco naturale di Entlebuch e sul lungolago di Neuchâtel, come una abitante di Brooklyn va al Central Park.
Un altro fenomeno è quello del pendolarismo, le persone che quotidianamente si spostano da una all’altra città per motivi di lavoro. Secondo le statistiche ufficiali, oltre 3,5 milioni di abitanti della Svizzera sono pendolari.[1] Fra questi, circa il 20% abita in un cantone e lavora in un altro (nel 1990 ne erano il 12%). Inoltre, sempre più datori di lavoro concedono ai propri dipendenti di computare come ore di lavoro quelle trascorse sul treno lavorando sul proprio computer. Provate invece a lavorare nella metropolitana di Parigi piuttosto che in quella di Milano.
In altre parole: nella vita di molte persone la Svizzera è già una grande città. Policentrica e plurilingue, è una vera metropoli con la sua rete di collegamenti e un’identità forte, strettamente legata alla creazione dell’idea della “nazione svizzera” a partire dall’Ottocento.[2]
Verso un concetto di “Città-Svizzera”?
In Ticino, a partire dagli anni Ottanta, è stato promosso il concetto di “Città-Ticino”.[3] Nel 2009 questa nozione è entrata persino nel nuovo Piano direttore cantonale come nuovo “modello territoriale”.[4] Dal 2012 figura anche nel nuovo Progetto territoriale Svizzera elaborato dal Consiglio federale dai cantoni, dall’Unione delle città svizzere e dall’Associazione dei comuni svizzeri.[5]
Come si svilupperebbe la Svizzera nei prossimi 175 anni se si promovesse attivamente il concetto di “Città-Svizzera”? Se questo concetto, che per molti è già realtà, entrasse nelle teste e nei documenti programmatici della politica? Un tale sviluppo potrebbe – ma è solo un esempio fra tanti – portare a rispolverare il progetto “Swissmetro”.
Ciononostante non è realistico pensare che l’idea di “Città-Svizzera” – premesso e non concesso che valga la pena promuoverla – avrà la vita facile nei prossimi decenni. Troppo forti saranno le resistenze delle strutture istituzionali e associative già esistenti che vedrebbero in un tale concetto un rischio per il loro ruolo e per la loro influenza nell’attuale sistema politico svizzero. In fondo, queste resistenze, assai prevedibili, sono strettamente legate a certe scelte fatte nel 1848 che in quell’epoca erano visionarie ma che oggigiorno costituiscono un freno per chi desidera avere una visione per la Svizzera nei prossimi 175 anni.
Il rischio della ghettizzazione digitale e la democrazia del sorteggio
Ma quanto spesso un abitante del quartiere bobo della Länggasse (il più progressista nelle votazioni dei quartieri bernesi, ma al tempo stesso quello con la percentuale più bassa di stranieri) si reca a Bümpliz (un quartiere operaio con un’alta percentuale di stranieri)? Quanto spesso dialoghiamo con persone che non fanno parte della nostra bubble? Cioè con persone che non vivono nel nostro quartiere, che non hanno il nostro livello di educazione, che non parlano la nostra lingua o le nostre lingue, che non votano per lo stesso partito (se votano), che non frequentano i nostri bar? Paradossalmente, la digitalizzazione e l’uso dei social potrebbero facilitare gli scambi ma spesso essi rafforzano la ghettizzazione digitale perché le persone tendono a frequentare negli spazi virtuali coloro che su un dato soggetto (pensiamo alla recente pandemia) la pensano come loro.
Quindi una delle sfide con le quali siamo confrontati è di immaginare nuove modalità che possano permettere alle persone di incontrarsi con coloro che vivono negli spazi fisici e virtuali diversi.
Nel 1848 i creatori della Svizzera moderna si sono ispirati degli Stati Uniti per istituire un parlamento bicamerale. Una cinquantina di anni più tardi diversi stati americani, fra cui l’Oregon, si sono ispirati della democrazia diretta svizzera per inserire i referendum nel loro sistema politico. Per fortuna, le idee e le soluzioni viaggiano nel mondo.
A partire dal 2019, nel contesto del progetto Demoscan (www.demoscan.ch), ci siamo ispirati dell’Oregon (Citizens’ Initiative Review) per organizzare in Svizzera delle assemblee cittadine estratte a sorte. Grazie al sorteggio – metodo di selezione utilizzato già nell’antica Grecia ma anche in diverse città e cantoni svizzeri nel Seicento e nel Settecento (Berna, Ginevra, Glarona, Sion, Yverdon...) – si ottiene un gruppo di cittadine e cittadini “comuni” che provengono da orizzonti (o bubbles) diversi. Nel corso di quattro giorni dibattono di una questione politica di attualità e redigono un rapporto che viene inviato ai loro concittadini ma anche alle autorità politiche.
Guarda caso, negli ultimi quattro anni sono state proprie alcune città ad interessarsi al sorteggio e a questo nuovo modo di “fare politica”: si pensi soltanto alle assemblee cittadine organizzate a titolo sperimentale a Bellinzona, Losanna, Sion, Uster, Winterthur. All’estero, sempre più città stanno addirittura istituzionalizzando il sorteggio e le assemblee cittadine: Aachen, Bruxelles, Madrid, Parigi… Non mi piace fare previsioni ma penso che sia solo una questione di tempo prima che lo stesso sviluppo si osservi anche nelle città svizzere. In questo modo ogni anno diverse centinaia di cittadine e cittadini avrebbero la possibilità di praticare la democrazia partecipativa e deliberativa, dialogando con persone al di fuori della propria bubble e cercando soluzioni condivise. Rafforzando così il dialogo e la democrazia stessa.
[1] https://www.bfs.admin.ch/bfs/it/home/statistiche/mobilita-trasporti/trasporto-persone/pendolarismo.html
[2] https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/j.1469-8129.2011.00516.x
[3] https://www.gea-ticino.ch/wp-content/uploads/farelacitta-ticino.pdf
[4] https://www4.ti.ch/fileadmin/DT/temi/piano_direttore/rapporto_esplicativo/00_Rapporto_completo.pdf
[5] https://progetto-territoriale-svizzera.ch
Nenad Stojanović, Professore FNS di scienza politica, Università di Ginevra; già consigliere comunale di Lugano.